BADIA CALAVENA. L’obiettivo è coinvolgere allevatori, tecnici e ristoratori nel rilancio Legambiente ha assegnato la Bandiera verde all’associazione che promuove l’unica razza autoctona sopravvissuta all’estinzione

La Bandiera Verde di Legambiente che premia, sul tragitto della Carovana delle Alpi, chi si è adoperato per la valorizzazione e la difesa delle località montane, è assegnata quest’anno all’Associazione per la promozione e la tutela della pecora Brogna, l’unica razza ancora esistente di pecora autoctona della Lessinia, perché pare che la cosiddetta Brentegana, altra razza autoctona, si sia da pochi anni estinta con la morte dell’ultimo pastore e la vendita del gregge. Sarebbe toccata la stessa sorte alla razza Brogna se un gruppo di allevatori, affiancati da tecnici e veterinari appassionati, non avessero raccolto le poche decine dei 600 capi censiti nel 1987 e avviato ogni azione per la difesa, la valorizzazione e la promozione del ruolo zootecnico dell’agricoltura di montagna. «È partito tutto tre anni fa», racconta Marcello Volanti, veterinario e allevatore lui stesso a biberon di un agnellino di razza Brogna rimasto orfano a pochi giorni, «quando dall’Associazione provinciale allevatori mi sono fatto dare l’elenco degli allevamenti conosciuti. Ho trovato una situazione molto frammentaria, con i capi venduti a prezzi stracciati e una razza che rischiava di essere perduta per sempre perché, salvo un allevatore che lo faceva a scopo di reddito, per tutti gli altri si trattava di un’integrazione di altri redditi. Mancava un mercato di questa carne pregiata e gli agnelli erano spesso ceduti a immigrati musulmani per celebrare la Festa del sacrificio».

Oggi sono censiti circa 1700 capi iscritti al registro anagrafico della razza Brogna, distribuiti in una decina di allevamenti quasi tutti nel Veronese e un paio nel Vicentino: «Con la costituzione dell’associazione lo scorso maggio, abbiamo voluto mettere le basi perché l’allevamento della pecora Brogna sia anche fonte di reddito per chi lo conduce: le premesse ci sono perché la carne è squisita e la lana è considerata di qualità medio-buona. Ora vogliamo definire un disciplinare di produzione», aggiunge Volanti, «per legare questa pecora al territorio veronese e portarla a risultati di eccellenza come è successo per la pecora Alpagota la cui carne è richiesta perfino sul mercato statunitense». A contrada Cuneghi di Badia Calavena c’è gran parte dell’allevamento di Massimo Veneri, circa 70 capi che vivono in una decina di recinti mobili con i quali sono suddivisi ettari di bosco e prati. «È questa la dimensione media degli allevamenti, salvo per Erbisti di Roverè, che da solo ha 600 capi. Si tratta di una razza molto rustica, che si adatta bene anche a pascoli poveri e ha spiccata la triplice attitudine: ottima da carne, ma anche da latte e da lana», spiega Veneri, «e questo ha permesso la conservazione della razza fino ai giorni nostri.

Oggi questa mancanza di specializzazione, in tempi in cui si preferiscono razze che producono molta carne, o molto latte o lana molto pregiata, rischiava di essere fatale per la Brogna. Questa è stata la ragione del declino, ma di questa debolezza vogliamo fare una forza valorizzando tutto il patrimonio della pecora e legandolo al territorio». «Compito dell’associazione, senza fini di lucro», aggiunge il perito agrario Giuliano Menegazzi, che segue gli allevatori nella parte tecnica, «è promuovere il miglioramento e la valorizzazione della qualità nella filiera della pecora Brogna, coinvolgendo, allevatori, trasformatori e ristoratori. È difficile con un allevamento stanziale di queste dimensioni avere un reddito, ma può essere un’ottima integrazione nell’agricoltura di montagna e soprattutto è la condizione per avviare una filiera virtuosa che porti un prodotto di nicchia ad essere preferito dai consumatori che possono visitare gli allevamenti, acquistare sul posto i prodotti e richiederli anche vicino a casa».

Vittorio Zambaldo (l’Arena)

Fonte: www.larena.it

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